di Giancarlo Liuzzi - foto Paola Grimaldi

Acquaviva, Tenuta Pietro Rossi: quella "reggia" di campagna che attende di essere salvata
ACQUAVIVA DELLE FONTI – Sorprendenti saloni affrescati minuziosamente, una stanza “segreta” celata dietro un camino, una graziosa chiesetta e un millenario menhir. Sono questi alcuni dei tesori della Tenuta Pietro Rossi, disabitato edificio secentesco che sorge nell’agro tra Casamassima ed Acquaviva delle Fonti. (Vedi foto galleria)

Parliamo di una dimora estesa su 3200 metri quadri: una sorta di “reggia” di campagna che giace però incredibilmente inutilizzata da ben quindici anni. Sì perché, dopo aver ospitato per secoli differenti famiglie, dal 2009 questo complesso è stato di fatto abbandonato. C’è sempre un custode a sorvegliarlo da furti e vandalismi, ma di fatto nessuno anima più le sue innumerevoli stanze. E i tanti pregiati arredi ancora presenti al suo interno, circondati da polvere e incuria, stanno correndo il rischio di sciuparsi per sempre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Per questo ho deciso di mettere in vendita la tenuta – ci spiega l’avvocato Francesco Albenzio, attuale proprietario -. Fu il mio bisnonno Pietro ad acquistarla nel 1909, ma oggi non è rimasto più nessuno a curarla. Da qui la scelta di cederla, nella speranza che qualcuno possa farla tornare in vita».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo la “Pietro Rossi” dalla periferia di Casamassima. Imbocchiamo la strada provinciale 95 per imbatterci dopo 3 chilometri nel prospetto giallo del fabbricato che sorge a ridosso della carreggiata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il complesso si compone di più fabbricati uniti tra loro. Il principale, di stampo neoclassico, si innalza su due piani. Il primo, contraddistinto da pietra bianca, è scandito da lesene e da quattro colonne doriche che reggono il balcone superiore. Sul secondo, che si innesta su un cornicione con triglifi e metope, si aprono tre finestre architravate. Al di sopra della centrale leggiamo l’anno di costruzione: il 1620.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La tenuta venne edificata su di una precedente stazione di sosta, luogo di riposo per carovane commerciali che percorrevano la via da Napoli a Taranto. Una funzione che conservò nei secoli successivi data la presenza, ancora oggi, di punti di stallo per gli animali con mangiatoie adiacenti l’ingresso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alla fine del 700 venne però trasformata in residenza nobiliare dal barone austriaco Bruschneider (il cui cognome veniva storpiato dai contadini locali in u presenario), con l’aggiunta di saloni affrescati e stanze di rappresentanza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel secondo decennio dell’800 fu poi la volta del commerciante veneziano Pietro Rossi, il quale sposò una delle due figlie del barone e, dopo la morte della stessa, convolò a nozze con la sorella divenendo proprietario della tenuta, che prese il suo nome.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Pietro fu uomo di grande cultura, partecipò ai moti rivoluzionari e divenne sindaco di Acquaviva. Si occupò personalmente anche della masseria: creò l’attuale strada tra l’edificio e le vicine città e decorò alcune delle sale interne. Le stesse che ospitarono il re Ferdinando II di Borbone e altri nobili dell’epoca, che da qui si recavano a Taranto, all’epoca il più importante porto del regno dopo Napoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al 1861 risalgono altri interventi sul fabbricato, probabilmente affidati al celebre architetto bitontino Luigi Castellucci, con la creazione dello scalone monumentale, della facciata e di altri vani al primo piano. Alla fine dell’800, dopo la morte di Pietro, la tenuta venne venduta a una famiglia di Taranto e poco dopo agli Albenzio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che andare alla scoperta della dimora, visitando prima la bianca chiesetta che si trova a destra del complesso. Realizzata nel 1626, presenta un campaniletto a vela ed è dedicata all’Arcangelo Gabriele. L’interno è spoglio ad eccezione dell’altare in pietra, di due nicchie con le immagini della Vergine e di Sant’Antonio e di un confessionale in legno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tornando sul piazzale antistante la masseria scorgiamo in un’aiuola un menhir tra due volute in ferro. Il millenario monolite fu rubato dalla tenuta nel 1994 poi essere recuperato e sistemato qui nel 2012, durante i lavori di restauro dell’immobile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Un ingresso secondario (il portone principale è serrato) ci conduce in una corte aperta sul quale si affacciano vari locali, tra cui l’antica stalla, contrassegnata da nicchie in pietra che contenevano le mangiatoie per animali. Un alto portale ci conduce al suo interno: un lungo stanzone con decine di aperture destinate a mucche e cavalli. Sul fondo troviamo anche una cisterna di raccolta delle acque piovane, dalla capienza straordinaria di un milione di litri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo nella corte e, tramite una piccola porta, giungiamo nella vecchia cucina dove si trova un grande camino forato al centro. «Lì dietro c’è una stanza nascosta – ci racconta la nostra guida, invitandoci a sbirciare all’interno -. Nell’800 venivano fatti rifugiare i briganti durante la notte».

Superando un androne ci ritroviamo in un ampio ambiente, dominato da un sontuoso scalone monumentale, che purtroppo presenta ai suoi piedi rifiuti ingobranti rifiuti quali un portone in ferro e varie travi di legno. La gradinata è introdotta da un “pronao” circolare con colonne ioniche, che sorreggono un balconcino superiore.

Percorriamo la scalinata che ci conduce davanti a un’elegante porta a vetri con legno intarsiato, che dà accesso al piano nobile di oltre 1000 metri quadri dove, nonostante l’evidente stato di abbandono e la rimozione di gran parte dell’arredamento, è ancora possibile scorgere i fasti di un tempo.

Entriamo in un vano dalle pareti decorate ad arcate, con sceniche vedute di paesaggi marini, e poi in una stanza adiacente anch’essa dipinta con colonne e cornici tra fronde vegetali e uccelli. Al centro fa bella mostra di sé un massiccio tavolo da biliardo di inizio 900, realizzato dalla ditta barese Gioacchino Rutigliani.

Alcuni gradini ci portano invece in un vano dove “riposa” un pianoforte a coda, una splendida libreria in legno traboccante di libri (molti dei quali però abbandonati sul pavimento) e un’ottocentesca cassaforte a muro di origine viennese.

Torniamo sui nostri passi e ci dirigiamo in un’altra ala del piano perdendoci tra numerose stanze dalle pareti scrostate, ma con le volte ancora riccamente decorate. In una di queste, con cornici celesti sui muri ad effetto marmo, scorgiamo un volto rugoso. «Durante la Seconda guerra mondiale soggiornò nella tenuta un comando britannico – ci spiega Francesco -. E i soldati disegnarono sui muri i ritratti dei loro comandanti».

Proseguiamo il nostro viaggio e davanti a noi si snodano una serie di altri ambienti con lampadari, soffitti con vedute campestri e cornici geometriche, pavimenti con maioliche, un raffinato camino in pietra e persino un piccolo altare decorato, nascosto da due ante in legno. Su una porta a vetri leggiamo anche le lettere P e A: iniziali di Pietro Albenzio, tra fronde vegetali.

Attraverso un’altra porta giungiamo in un grazioso salottino con decori in stile pompeiano. Qui sulle pareti vi sono dei riquadri rosso e ocra con creature mitologiche, le stesse presenti sulla volta rosa e celeste tra vasi, fronde vegetali, elaborate cornici concentriche e decori a rosone.

Credevamo di aver visto ormai tutto ma ecco che Francesco ci conduce in un salone che ci lascia senza fiato: una vasta sala rettangolare, utilizzata un tempo per feste da ballo, interamente affrescata. Tra specchi e antiche sedie in legno, osserviamo le pareti blu oltremare dove, inclusi in minuziose cornici con elementi vegetali e medaglioni con volti, sono raffigurate delle vedute sceniche: l’eruzione del Vesuvio del 1794 e il porto di Genova.

In alto un’elaborata cornice perimetrale rossa e dorata lascia spazio all’incantevole volta a padiglione. Una fascia a lunette trilobate, affiancate da figure angeliche, circonda l’ampio riquadro centrale: rappresenta una scena di guerra civile dell’antica Roma (si scorge in alto una lupa e la scritta SPQR) con soldati e popolani che si accalcano in una piazza.

Accecati da tanta bellezza e opulenza lasciamo così questa “reggia” nascosta nelle campagne a sud di Bari, che attende con speranza di essere salvata.

(Vedi galleria fotografica)


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Giancarlo Liuzzi
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